Il lemma Culture Digitali su La Treccani

Ecco qui sotto il testo scritto, anni fa, per l‘Enciclopedia Italiana Treccani (Scienza e Tecnica- doppio volume su Informatica, 2008). E’ un breve saggio sulle Culture Digitali e diversi lemmi correlati ( con  riferimenti contestuali qui linkati), oggetto anche degli open talk all’Università di Siena con DigitalCulturalHeritage, a proposito della cultura intesa come participio futuro (ovvero “ciò che diviene”) di cui si tratta in questo report.

Le culture digitali  riguardano l’ambito che s’attesta tra l’invenzione tecnologica e l’impatto sociale dell’innovazione, intesa come applicazione diffusa delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione. Si tratta dello spazio di ricerca in cui vengono sondati i termini culturali, sia sensoriali sia epistemologici, dei nuovi linguaggi tecnologici.
Le culture digitali rivelano una sperimentazione che si estende al di là dei protocolli informatici e ingegneristici per invadere la sfera antropologica, culturale nel senso più ampio, che comporta l’utilizzo delle tecnologie. giardinodellecoseStudioAzzurro1992

Ciò che definiamo cultura (dal latino colere, “coltivare”, declinato nel participio futuro della lingua latina, per intendere “ciò che diviene”) è un concetto dinamico che sottende la nostra evoluzione, in una pratica che riguarda la cura di linguaggi e comportamenti, per abbracciare l’insieme delle conoscenze trasmesse tra generazioni e le loro trasformazioni.
Il fatto di declinare questo concetto al plurale è, prima di tutto, basato sulla molteplicità degli ambiti attraverso cui si sta diffondendo una mutazione radicale posta dall’avanzamento tecnologico, condizione che sta determinando una revisione non solo degli assetti di linguaggio ma anche di quelli sociali ed economici.
Le culture digitali abbracciano un ampio arco d’esperienza innovativa che dagli anni Sessanta (con lo sviluppo dei microprocessori e della rete Arpanet, anticipatoria di Internet) arriva ad oggi, con un’evoluzione tecnologica che ha cambiato non solo i modi di rappresentare il mondo ma la creazione del mondo stesso, attraverso nuovi modelli di relazione sociale mediata dalle reti. Il web si sta rivelando come un nuovo spazio pubblico a tutti gli effetti, non è infatti solo uno strumento bensì un ambiente attraverso cui si sta attuando ciò che viene definita Società dell’Informazione (>).


La peculiarità delle culture digitali sta nel tradurre l’offerta tecnologica in una forma, espressiva o funzionale, che di fatto espande le capacità creative per interpretare il cambiamento in atto.
Queste forme trovano luogo nell’intervallo che intercorre tra l’invenzione di tecnologie e ciò che realmente intendiamo per innovazione: il valore d’uso di quelle opportunità.culturedigitali sullaTreccani
E’ quindi nell’utilizzo delle potenzialità tecnologiche che si sviluppano le culture digitali, trasformandole in nuovo linguaggio, a partire dalle intuizioni dell’Avanguardia, come quelle espresse già dal Movimento Futurista fino alle diverse sperimentazioni delle electronic arts (>).
Da sempre l’arte utilizza ogni nuovo materiale o strumento per esprimersi, dalla pittura ad olio alle biotecnologie. Una fase cardine è quella che agli inizi del Novecento vede il sistema artistico misurarsi con i sistemi della riproducibilità tecnica. La prima grande rivoluzione è così data dall’avvento della fotografia che apre un dibattito tuttora in corso sulla sottrazione dell’aura dell’opera d’arte nel corso della sua riproduzione, allora chimica poi elettronica ed ora digitale.
Le rivoluzioni tecnologiche comportano quindi un’evoluzione della nostra civiltà, coniugando la dimensione naturale dell’espressività umana con quelle artificiali delle diverse tecnologie a disposizione, creando delle ibridazioni complesse, come quella tra arte e comunicazione. Condizioni di radicale riconfigurazione degli assetti percettivi, se pensiamo a ciò che accade negli scenari virtuali di ambienti simulati in 3D.
E’ all’interno di questo scenario, una volta solo profetizzato dalla fantascienza e dalla letteratura cyberpunk (>), che si pongono le nuove sperimentazioni che vanno sotto il nome di cyberperformance (>), cyberculture (>), arte interattiva(>) performing media(>) e hacktivism (>).
Si tratta di espressioni che sondano il confine tra umano e artificiale e che oggi s’emancipano dalla radicale cybercultura della prima ora. In queste pratiche c’è il valore fondante che sta alla radice di qualsiasi trasformazione culturale, quello di misurarsi con una nuova forma di conoscenza del mondo, a partire da noi stessi.
Per inquadrare in modo più compiuto questa trasformazione è opportuno rimandare alle coordinate tracciate dallo scienziato americano Norbert Wiener (>) che nel 1945 conia il concetto di cibernetica (>), interpretando metaforicamente la definizione greca di Kybernetiké techne: la scienza della guida delle navi. Wiener studia i processi di comunicazione posti alla base del funzionamento delle macchine, degli esseri viventi e delle organizzazioni sociali. La cibernetica, origine di tutta la ricerca informatica, di fatto proviene da un’osservazione attenta dei principi naturali attivati da processi di azione e reazione e della conseguente loro autoregolazione. Ciò che sta alla base dell’interattività.
A partire da quest’ ultima considerazione si può evincere la peculiarità creativa delle culture digitali, al di là degli aspetti strettamente artistici, perché riguardano una rifondazione degli assetti psicologici attraverso le dinamiche dell’interazione tra la fisicità del corpo e i sistemi interattivi. Dinamiche che trasformano le capacità percettive e cognitive esplicitando come i percorsi ipertestuali stabiliscano un superamento del pensiero lineare dei modelli predefiniti e stabilizzati nella cultura umanista.
La creatività riguarda fondamentalmente la capacità umana di ambientarsi in nuovi contesti, trovare risposte a domande mai poste, inventare nuove forme per rappresentare il mondo esterno ed esprimere la propria soggettività. Ambientarsi nel mondo digitale della molteplicità delle fonti informative significa, tra le tante cose, reinventare il nostro rapporto con il linguaggio alfabetico, una delle più antiche tecnologie capaci di comunicare nel mondo.
Già con l’ipertesto e ancor di più con il web, l’ipertesto degli ipertesti, si è compreso come l’uso dell’alfabeto possa diventare meno lineare attraverso la combinazione di link (>) che sollecitano le combinazioni possibili in un testo, superando lo schema temporale per abbracciare la potenzialità spaziale del linguaggio: lo strumento migliore per tradurre in azione il nostro pensiero. E’ ormai chiaro che le tecnologie digitali interpretano al miglior grado questa evoluzione del linguaggio. Espandendo la ricombinazione delle informazioni testuali con altri media, come quelli audiovisivi, che danno così luogo all’ipermedia (>) che rende libero il linguaggio d’interagire sia con la dimensione cognitivo-ricostruttiva sia con quella percettivo-motoria.
Marshall McLuhan (>) aveva valutato, già negli anni Sessanta, la stretta interrelazione tra l’evoluzione delle tecnologie e quella della dimensione psicologica, sensoriale e fondamentalmente culturale.
Le sperimentazioni dei pionieri delle prime forme d’arte interattiva (>) hanno focalizzato i termini di questa evoluzione culturale, coniugando la dimensione dell’happening partecipativo con i primi sistemi digitali.
Un apripista è Myron W. Krueger che nel 1983 con il Videoplace avvia la ricerca definita Realtà Artificiale (>), fenomeno che anticipò la Realtà Virtuale, utilizzando telecamere che digitalizzavano il movimento di un performer, in grado d’interagire con uno scenario infografico.
Altra figura cardine è Roy Ascott che, sempre alla fine degli anni Sessanta, trattò di “estetica tecnoeticah, concetto poi rilanciato da Mario Costa con l’”estetica della comunicazione”. Il contributo più significativo di Ascott è Aspect of Gaia, un’opera collettiva “aperta” ai contributi raccolti on line da decine di autori, presentata nel 1989 al festival Ars Electronica di Linz (Austria), uno dei luoghi di maggior attenzione verso le culture digitali, insieme a Imagina di Montecarlo e   Transmediale di Berlino.
Un ambito importante da sottolineare è quello della Net Art (>) che vede come figure apripista il catalano Antoni Muntadas, lo sloveno Vuk Cosic, l’italiano Tommaso Tozzi e, per un particolare aspetto pionieristico, Pietro Grossi che, nel 1970, trasmette il primo “audio streaming” della storia con un collegamento telematico fra la Fondazione Manzù di Rimini e il CNUCE di Pisa. Un teorico della Net Art è Lev Manovich che evidenzia come la creatività sia direttamente proporzionale alla capacità di fare network. Un’intuizione che s’inscrive nella cultura hacker e open source (>), per esplicitarsi a miglior grado nella dimensione etico-politica dell’hacktivism (>) che coniuga hacking e activism. Un’affermazione di Jello Biafra, alias Eric Reed Boucher, cantante punk dei Dead Kennedys e attivista politico, è in tal senso emblematica: “Non odiate i media, diventate i media.” Tra i protagonisti italiani di queste declinazioni della cultura hacker si segnalano Giacomo Verde e Jaromil.
Le culture digitali tendono infatti ad uscire sempre più dall’ambito strettamente artistico per espandersi nella società che cambia, attraverso le pratiche collaborative del social networking, nella disintermediazione, nel crowdsourcing (>), nella creatività sociale delle reti, come si evince nel concetto nuovo di performing media (>).
In Italia è possibile individuare un punto di partenza per il lungo percorso delle culture digitali nel gruppo Arte programmata che prende nome da una mostra curata nel 1962 da Umberto Eco al Negozio Olivetti di Milano, con autori come Giovanni Anceschi e Gianni Colombo.
Una netta accelerazione del dibattito sulle culture digitali lo si registra nel 1991 intorno all’avvento della realtà virtuale (>), con incontri a Milano e a Venezia, al Palazzo Fortuny (a cura di Maria Grazia Mattei che aveva curato negli anni Ottanta, una mostra a Pavia su “Arte e nuove tecnologie” e un evento a Ivrea, “ExMachina”), a Torino con un convegno promosso da CNR e Scenari dell’Immateriale (progetto che derivava dal festival di Narni dove ha origine il videoteatro nei primi anni Ottanta e dove, nel 1987, c’è un’edizione dal titolo “La scena interattiva”) e a Roma con “Mondi riflessi” a Villa Medici, dove fu presentato nel 1992, per la prima volta in un contesto culturale, un sistema di realtà virtuale immersiva.
Un momento significativo è la rassegna “Arslab. Sensi del Virtuale” (Torino, 1995) promossa da Ars Technica, un’associazione che vede tra i protagonisti l’artista Piero Gilardi (>) e il teorico Franco Torriani ( ecco un intervento teorico nel catalogo).
In questo contesto si rilevano gli interventi degli americani Bruce Neuman, Dan Graham e Jeffrey Shaw, del francese Laurent Mignonneau, dei giapponesi Dumb Type e di Studio Azzurro (>).
In quegli anni, precisamente nel 1994, si formò un gruppo di studio a Milano, AGAVE (da cui deriva poi l’archivio AGA.POW), che impostò una ricognizione teorica (con l’apporto, tra gli altri, di Antonio Caronia) sul fenomeno della cyberperformance, invitando Stelarc (>), Marcel.lì Antunez Roca (>) e seguendo il gruppo fiorentino Krypton che nel 1996 presentò la performance “Corpo sterminato”.
In occasione di Mediartech, a Firenze, alla Fortezza da Basso, si attivò il primo workshop di intelligenza connettiva (>) diretto da Derrick de Kerckhove (>) del McLuhan Program di Toronto, un evento decisivo per la qualificazione del dibattito sulle culture digitali.
Un ulteriore livello di ricerca è quello che prevede il rapporto con gli “agenti informatici”, i cosiddetti knowbot, programmati per esistere autonomamente in un ambiente di vita artificiale (>). In questo contesto ha operato il gruppo di autori multimediali tedeschi, Knowbotic Research, già vincitori nel 1993 del Golden Nica al festival Ars Elecrtonica di Linz, presentando nel 1988 a Firenze, nell’ambito del progetto Interscena(uno dei primi progetti di formazione sull’interazione tra scena e sistemi digitali, svolto nel 1997 a Castiglioncello) , “Dialogue With The Knowbotic South”, installazione percorsa da spettatori che intercettati da un motion-capture (>) venivano assaltati da sciami di bit. Innumerevoli i pionieri delle culture digitali in quegli anni Novanta,  tra questi vanno ricordati Stefano Roveda (che portò il tocco digitale in Studio Azzurro), Mario Canali, Massimo “Contrasto” Cittadini, il già citato Giacomo Verde.
Le culture digitali hanno trovato sviluppo in Italia su riviste e osservatori on line come Noema, Neural, Mymedia e Virtual e in molteplici manifestazioni, di cui si possono citare “Il futuro digitale” al Salone del Libro di Torino nel 1996, “ADE” (Art in Digital Era) a Polverigi (2001-2002), “Scritture Mutanti” promossa dalla Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese dal 2001 al 2006 e tra le più recenti “LPM – Live Performers Meeting” a Roma, “Share Festival” a Torino, “TecArtEco” a Lugano e Gallarate, Meet the Media Guru a Milano.

Carlo Infante

carlo@urbanexperience.it

con il simbolo (>) si rimanda al lemma correlato (ma purtroppo non sono on line i testi di questi due volumi  dell’Enciclopedia Italiana Treccani Scienza e Tecnica- Informatica)

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